martedì 3 marzo 2009

Il tratto che ci unisce

Cinzia Demi ha anime molteplici. O meglio, una anima grande, tanto da contenere, come in un sorprendente juke-box, varie anime o canzoni. In queste pagine, la dolcissima infaticabile Cinzia, ci dà le pagine di un suo diario, facendo per così dire un passo indietro, o forse in avanti, rispetto alla giovialità accesa con cui solitamente si presenta e di cui è tessuta ad esempio quell’altra sua recente opera di semiserissimo omaggio a Dante. Qui, un poco discosta dunque, e cedendo spazio a più ombre e a più modulazioni di lumi, lascia andare in una specie di continuum poematico, se pur offerto a brani, a lacerti, il diario suo minimo e profondo. I letterati di mestiere vedranno in controluce Caproni in certi andantini sorpresi e acuti, o sonderanno quanto l’omaggio alla poesia della Szimborska scenda dalle citazioni ai tessuti e a talune felici smagliature dello sguardo. Così come, le presenze di Pasolini e Fortini, e dell’ultima sezione civile, provvedono a rammentare la natura mai intimista del personale percorso della Demi. La sua è una poesia tesa a rammagliare il mondo. Una lotta per non dare perduto nulla delle relazioni principali, e dei tesori della percezione anche occasionale. Una poesia di veglia, e di una veglia che brucia sia ai margini della città contemporanea e dei suoi vivissimi drammi, sia nel luogo feriale e femminile, la cucina. Un libro che ha sempre qualcosa in tavola: troverete pane, torte, anche tagliatelle. Su una tavola però colta nei momenti soprattutto di preparazione, e specialmente di quella preparazione quasi magica, di pienissima solitudine che però è al tempo stesso vivissima partecipazione al mondo e alle persone care che è la preparazione di notte.

Sono quelle strane veglie femminili di cui vediamo i segni –noi che di notte spesso conosciamo le strade fino all’alba- in rare finestre illuminate, in alte specole di condomini, quasi come disperse luci votive mentre la notte cambia colore. In quella veglia solitaria e popolata di attesa, di dialoghi muti con le presenze necessarie, Cinzia Demi trova lo spazio, tra visioni e movimenti da filastrocca, tra tensioni da madre e illuminazioni di figlia, per sentire il tessuto della sua vita nel mondo. Ma non si pensi a una poesia da “nido”, né a qualcosa di patetico-familistico. Il biglietto su cui i genitori segnarono una data antecedente alla sua nascita, o la tesa attenzione alla figlia, sono i dolci artigli che rompono la scena del presente e aprono al viaggio, fatto pure a tentoni, che connette il passato e il futuro e, in definitiva, aprono all’interrogarsi sul tempo e sul suo significato. Non a caso, il nome per quanto intimidito di Dio, imparato e ripetuto con sapore di fede profonda e popolare, non può trattenersi dal fiorire in questa poesia come nome a cui rivolgere l’invocazione aperta e fiduciosa sul senso misterioso del destino. Le partizioni del libro, se si eccettua l’ultima sezione, diseguale, non sono cesure ma segnali per indicare lievi rotazioni della prospettiva. La voce però batte sulle medesime corde, il controllo musaico dei versi non cede, e l’attenzione vigile sulle misure, segno di un lavoro colto e curioso, ci offrono infine una raccolta compatta, e, secondo la campitura permessa dalle architetture profonde di questa voce, posso dire compiuta. (Davide Rondoni)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu